Everything ends, Brook, even prison.

Perché Netflix non è solo House of Cards. Con la seconda stagione di Orange is the new Black (qui la recensione della prima stagione) il servizio streaming più popolare del momento ha dimostrato – confermato sarebbe più corretto dire – di avere più frecce al proprio arco e di poter differenziare la propria offerta originale anche al di là del thriller fantapolitico con Kevin Spacey. Il drama carcerario al femminile ideato da Jenji Kohan rinnova in parte se stesso, allarga la propria visione e diventa una serie ancora più corale rispetto allo scorso anno. A metà fra il rosa e il nero una tonalità di arancione, quella delle tute da carcerate, piccole formiche che cercano il proprio posto all’interno del penitenziario di Litchfield: ripicche, ricordi e rimpianti, filtrati attraverso l’ironia e il velo dei flashback, unico contatto con le identità passate.

Nella routine del carcere del Connecticut poco o nulla cambia. Il violento cliffhanger...