Per IGN è “la migliore incarnazione di Batman al di fuori dei fumetti”, per la Fox è un forte riferimento nel proprio passato in attesa del debutto di Gotham, per noi è il nero di un mantello nell’arcobaleno dell’infanzia. Nel 1992, sull’onda lunga del successo del Batman di Tim Burton, circa dieci anni prima dell’esplosione definitiva del cinecomic, la Warner Bros. crede in una nuova reincarnazione del cavaliere oscuro, stavolta sul piccolo schermo: il risultato è eccellente. Batman: The Animated Series è un noir malinconico a tinte oscure, dove una messa in scena espressiva e la ricchezza dei personaggi offrono una visione complessa e simbolica dell’antieroe e dei “freaks” da lui creati.

Nell’arco di due stagioni – la seconda intitolata The adventures of Batman and Robin – andate in onda tra il 1992 e il 1995, per un totale di 85 episodi, la serie racconta l’attività da vigilante di Bruce Wayne/Batman nella città di Gotham e i suoi scontri tanto con i supercattivi arcinoti quanto con i delinquenti occasionali. Quindi da Joker a Due Facce, dal Pinguino a Poison Ivy, passando per i boss criminali Rupert Thorne e Tony Zucco. Lo affiancano nella lotta Robin (Dick Grayson) e, in seguito, Batgirl (Barbara Gordon). Nel progetto successivo The New Batman Adventures, in onda tra il 1997 e il 1999, faranno la loro comparsa anche Nightwing e un nuovo Robin (Tim Drake).

A più di vent’anni dal debutto dello show, ciò che rimane impressa maggiormente è l’impostazione visiva alla base e la capacità degli sviluppatori Bruce Timm e Eric Radomski di sovrapporre con eleganza più stili apparentemente inconciliabili. “Dark Deco” venne definita dagli stessi autori: un’architettura e ricostruzione degli ambienti che riprende l’Art Déco, con i suoi edifici imponenti e i motivi interni a zigzag, interamente sommersa da un velo nero adagiato sui palazzi che si stagliano contro il rosso fuoco del cielo notturno. È in questi spazi che il supereroe si muove, fondendosi con gli ambienti, incutendo terrore, definito solo dal bianco dei suoi occhi.

Quella di Batman: The Animated Series è quindi un’ambientazione contemporanea sporcata da costanti riferimenti, visivi e tematici, agli anni ’40. All’enorme computer nella bat-caverna si contrappongono ambienti, abbigliamenti e figure tipiche vecchie di decenni, e soprattutto un’idea di noir animato che è tanto originale quanto affascinante. È la cosiddetta “soggettivizzazione della realtà”, quella di un ambiente urbano notturno, in questo caso decadente e malinconico, che pare essere lo specchio delle sensazioni vissute dai protagonisti. E, per rimarcare ancora l’importanza del noir, anche a livello di sceneggiatura, non è un caso che l’ultimo scambio di battute di “Perchance of Dreams”, uno dei migliori episodi della serie, sia proprio “Any idea what it is?/Yes, the stuff that dreams are made of”, semicitazione da Il mistero del falco.

A differenza della nuova serie della Fox, Gotham non appare nel titolo, ma la sua presenza come entità quasi viva si respira in ogni  momento. La città di Batman al cinema non è mai stata un ambiente neutrale e oggettivo, ma è sempre stata sottoposta alla visione dell’autore: dalla metropoli bellissima e innevata di Batman – Il ritorno, a quella kitsch e improbabile di Schumacher, per finire con quella fredda e tetra della trilogia di Christopher Nolan (che ha qualcosa del neo-noir). La serie animata trasporta questa idea, passata, presente e futura, sul piccolo schermo. Per chi lo vedeva all’epoca, tutto ciò era solo il contorno inafferrabile, percepibile solo a livello inconscio, che lasciava il posto all’azione, al pericolo, alle storie e ai personaggi.

Come spesso capita nel cinecomic, la figura dell’eroe viene oscurata dai villain con i quali si confronta, e il senso del dramma dipende in larga parte dal carisma del nemico da abbattere. E i “cattivi” di Batman sono indimenticabili. Se Joker, che in originale ha la voce di Mark Hamill, è l’anima più ironica della serie, Due Facce, protagonista di un bellissimo doppio episodio di origini che narra la caduta di Harvey Dent, ne rappresenta la parte più cupa. Chi sono i mostri rinchiusi ad Arkham? È una fortuna che Batman sia apparso per combatterli, o sono queste figure a nascere come necessaria nemesi del cavaliere oscuro? Chi ha generato chi? Sono domande sulle quali la serie torna ancora e ancora, e alle quali risponde meglio quando sposta l’attenzione proprio sui villain.

Lo fa in particolare in due episodi, solitamente indicati tra i migliori in assoluto della serie. Il primo, “Almost Got ‘Im”, vede cinque nemici di Batman riuniti intorno ad un tavolo da poker, intenti a raccontarsi aneddoti su un particolare momento in cui erano andati vicini ad ucciderlo. Nel secondo, “Trial”, Batman viene catturato dai detenuti di Arkham, e sottoposto ad un processo da parte del tribunale dei criminali per trovare una risposta proprio agli interrogativi sopra indicati. Le risposte precise non arrivano e non possono arrivare. In qualche malsano modo, Batman trova un senso nei suoi nemici e viceversa, una consapevolezza ben condivisa, in primo luogo dal Joker, che nel geniale “The Man Who Killed Batman” inscenerà addirittura un funerale per il nemico che crede scomparso.

Sul tutto il tema del doppio, quello meglio esteriorizzato da Due Facce, ma che in qualche modo accomuna, nel trauma, protagonisti e antagonisti. Sarà la maledizione di Mr. Freeze, malinconica presenza in “Heart of Ice”, ma anche un tema del doppio episodio dedicato a Roland Daggett/ClayFace, e naturalmente la costante dello stesso uomo-pipistrello. Domina infine, in uno degli ultimi episodi, come tormento di Mary Dahl, donna affetta da una patologia che non le permette di crescere. Il titolo di questo stupendo episodio, che culmina nella scena finale forse più cupa e triste di tutta la serie, è “Baby-Doll”. Indimenticabile ovviamente Harley Quinn, la folle assistente del Joker – che lei chiama Mr. J – con il nome scelto per assonanza con Arlecchino, e che sarà la creazione originale più famosa dello show.

La serie è inoltre il primo progetto del cosiddetto DC Animated Universe: nel 1996 lo stesso team avrebbe introdotto nella continuity anche l’Uomo d’acciaio con Superman: The Animated Series. Tra il 1997 e il 1998 sarebbe poi andato in onda The New Batman Adventures (Batman – Cavaliere della notte), fin dal titolo un seguito ideale al cartoon di successo. Il design dei personaggi qui muta in parte, in alcuni casi troppo radicalmente, e vengono introdotti nuovi protagonisti. Si tratta di un progetto decisamente più piccolo, con le sue appena 24 puntate, nel quale però si trovano delle piccole perle. Tra gli episodi migliori “Over the Edge”, che getta Batman in una realtà dove il suo segreto è scoperto e dove Batgirl viene uccisa, “Legends of the Dark Knight”, che omaggia le storie e lo stile di Frank Miller, Dick Sprang e Bill Finger, e “Mad Love”, storia di origini di Harley Quinn che ha qualcosa di “Il silenzio degli innocenti”. La Warner Bros. avrebbe poi rilanciato il franchise ancora nel 1999 con il futuristico Batman of the Future. Appartengono agli ultimi anni i progetti slegati The Batman e Batman: The Brave and the Bold.

Accade qualcosa di strano con Batman: The Animated Series. Accade che il filtro dell’infanzia, tanto rassicurante, ma anche molto generoso quando si tratta di giudicare vecchi prodotti, non viene intaccato da una revisione dell’opera. Anzi, certi aspetti dell’opera possono essere meglio compresi oggi meglio di allora. L’approccio creativo all’opera e al personaggio, le sceneggiature intelligenti e mature di Paul Dini e degli altri autori, le musiche di Danny Elfman – che rielabora in parte il proprio lavoro – e di Shirley Walker: tutto questo crea qualcosa di, scusate la banalità, semplicemente bello e gratificante da vedere.