Avere alle spalle una prima stagione come quella di Broadchurch, è un po’ come essere un enfant prodige. Stupisci tutti per la tua straordinarietà, e carichi di aspettative coloro che si sono appassionati a te. Spesso e volentieri, cadi vittima di ansie da prestazione che, sul lungo termine, rischiano di affossarti del tutto. O magari, finisci per ripetere stancamente i pezzi migliori del tuo periodo d’oro, senza però aggiungere nulla di autenticamente nuovo al tuo repertorio. In breve: solo in pochi diventano Mozart.

Arrivati ormai a metà della seconda stagione, bisogna prendere atto di come questo sequel di Broadchurch stia rallentando drasticamente il ritmo e perdendo mordente rispetto al vivido smalto drammatico della prima stagione. La quarta puntata è l’esempio di scrittura più grossolano – relativamente parlando – finora visto nel dramma di Chris Chibnall. La maggior parte della sceneggiatura oscilla tra la ripetizione di situazioni e concetti già n...