Per tutti coloro che non se la fossero sentita di affrontare la visione in lingua originale, è giunto il momento di gridar vittoria: il 31 gennaio debutterà su Premium Crime la seconda stagione di Hannibal, raffinato adattamento – e ampliamento – della saga letteraria creata da Thomas Harris. BadTv ha avuto l’occasione di intervistare il cast a Firenze (durante le riprese della terza stagione) grazie a roundtable organizzate per promuovere la prima tv italiana. Abbiamo così incontrato Fortunato Cerlino, già apprezzato nel ruolo di Pietro Savastano nella serie Gomorra, e che nella terza stagione entrerà a far parte del cast di Hannibal nel ruolo di Rinaldo Pazzi, già portato sullo schermo da Giancarlo Giannini. Ecco cosa ci ha raccontato.

Parlaci del tuo personaggio, l’Ispettore Pazzi.

Fortunato Cerlino: Beh, è presente nel romanzo Hannibal, e nella serie c’è la possibilità di approfondirlo di più. Chi conosce questa serie, sa che la sua peculiarità è proprio quella di andare a scavare nei personaggi dal punto di vista psicologico e seguirli quanto più possibile. Proprio ieri sera, a cena, parlavamo della possibilità della narrazione seriale di stare sui personaggi e seguirli un po’ più da vicino, e questo forse è ciò che decreta il grande successo della serialità in questo momento. Pazzi è approfondito dal punto di vista narrativo rispetto al film di Ridley Scott, e c’è più possibilità di vederlo in situazioni che magari nel film o nel romanzo non sono viste o lette. Un personaggio ampliato in chiave di narrazione seriale. Non svelo nulla se dico che c’è una grande attenzione per il dettaglio, per la cura della scrittura. Seguiamo da vicino il respiro mentale dei protagonisti.

Non hai girato solo a Firenze…

F: No, ho girato tre puntate in tutto e sono stato anche in Canada, dove ho girato per circa un mese e mezzo. Qui a Firenze, stiamo chiudendo la linea narrativa di Pazzi. E poi… sapete bene che, in questa serie, i personaggi che muoiono possono ritornare, ed essendoci trovati molto bene a lavorare insieme potrebbe esserci l’ipotesi di un ritorno successivo di Pazzi. Vedremo, dipende anche dagli impegni, ma non è detto. Alcuni personaggi sono comparsi maggiormente dopo essere morti!

Il personaggio di Pazzi è stato iconicamente associato a Giancarlo Giannini, che l’ha intepretato nella trasposizione di Ridley Scott del 2001. Come ti sei rapportato a questa versione del personaggio?

F: Non dico una cosa nuova se affermo che Giannini è un punto di riferimento per tutti noi, soprattutto per gli attori è un esempio da seguire, anche per la sua capacità di rompere gli schemi recitativi del nostro paese. Non è stato detto ancora abbastanza sul valore di Giannini. Comunque, avendo vivo il ricordo della sua interpretazione in quel film, prima di girare ho preferito non rivederla per non essere condizionato e mantenere una certa libertà, attenendomi solo alla sceneggiatura. Ciò non toglie che mi tremino i polsi, perché il confronto ovviamente ci sarà, e ovviamente perderò! Ma va bene così.

Come stai vivendo questo momento sulla cresta dell’onda, tra Gomorra e Hannibal?

F: La sto vivendo molto bene, mi sento molto fortunato e non voglio minimizzare. Tuttavia, vivo con la normalità di un professionista che fa il proprio lavoro. In un certo senso, la carriera mi sta viziando in questo momento, ma questo già da qualche tempo; anche durante la mia formazione teatrale ho avuto l’occasione di incontrare grandi maestri. Sono viziato da questo punto di vista, e mi sento a casa laddove riscontro qualità, precisione d’intenti e cordialità, sempre conseguente a un patto reciproco di professionalità. In tutto il mondo, a un certo livello, si lavora nello stesso modo. Quindi sì, sto vivendo bene, illudendomi che poi tutto resterà così per sempre. Da un punto di vista umano, anche per un mio percorso di altro tipo, mi esalta ma fino a un certo punto.

Il tour de force televisivo ti sta allontanando dalla tua carriera teatrale?

F: Mi sta allontanando come attore, perché ovviamente non posso prendere impegni a lunga scadenza come una tournée di tre o quattro mesi. Però come regista e come autore sto continuando a lavorare. C’è un mio testo che forse verrà tradotto l’anno prossimo, stiamo discutendo su questo progetto, per cui c’è l’interesse del Teatro Stabile di Napoli e di altri produttori privati su questo materiale. Chiaramente, alcune cose sono cambiate, c’è un ascolto maggiore da parte di produttori e teatri, si sono facilitati dei rapporti. In ogni caso, non abbandono il teatro, perché per me è stato proprio il battesimo attoriale e credo molto in quel meccanismo di narrazione: vengo da lì, lo sento in maniera viscerale. Continuerò come regista, come autore e, laddove potrò, anche come attore.

 

 

Al termine di Gomorra, ti abbiamo lasciato con un atteggiamento da “finto tonto”. Cosa sappiamo di Gomorra 2?

F: Attualmente, non posso dire molto. Stanno scrivendo, ci sono già i trattamenti per tutta la stagione e anche dei singoli episodi. Posso dirvi che chi ha letto il materiale l’ha trovato anche superiore a quello della prima stagione, quindi c’è stata un’attenzione particolare. Ovviamente saremo sempre nel solco di Roberto Saviano, perché la particolarità di questa serie, che è stata apprezzata anche in America, è il doppio lavoro alla base: è una fiction, ma il materiale è tutto attinente alla realtà, nulla di quello che è raccontato in Gomorra è fuori dalla realtà. Sono tutti eventi che sono stati riassemblati, i personaggi sono stati resi delle icone ma tutto ciò che viene narrato è reale. Continueremo seguendo questa linea, Roberto ha fatto la supervisione e ha scritto delle cose. Ci siamo addirittura trovati di fronte a dei fatti che ci sembravano esagerati e improbabili, e poi Roberto arrivava puntualmente sul set con la documentazione dicendo: “Guardate che è successo veramente, e molto peggio di come lo stiamo raccontando.” Lo stiamo vedendo ultimamente su Roma: mi tornavano in mente le parole di Savastano in carcere, quando dice: “Fino a Roma amm’arriva’.” Alla fine, siamo sempre in ritardo. È importante non abbassare la guardia. Io vivo a Roma, e vedendo ciò che sta accadendo dico che ci vogliono cento, mille Gomorra per riuscire a stare al passo con questa gente, perché loro stanno evidentemente già molto più avanti dal punto di vista della sceneggiatura. Hanno scritto già molte più puntate di noi. Riallacciandomi alla domanda, dico: continueremo a sviluppare in parallelo l’aspetto della fiction e della spettacolarità di quello che avviene, perché noi facciamo comunque fiction, e la linea narrativa legata alla realtà. Ci saranno altri paesi coinvolti; quando è uscita la serie, noi abbiamo chiesto di aspettare di aver visto tutti gli episodi, perché non raccontiamo Napoli bensì la camorra. E la camorra, purtroppo, è un brand internazionale. Noi l’abbiamo cullata, ma gli altri hanno attinto. In questa stagione, il panorama internazionale si allargherà ancora di più.

A proposito di panorama internazionale: com’è stata la tua esperienza su un set straniero?

F: Innanzitutto, è un’esperienza che è stata possibile grazie alla mia agente, Tiziana Di Matteo. Queste figure professionali rischiano di restare marginali, mentre la collaborazione tra me e lei è un po’ di vecchio stampo, nel senso che lei ha creduto fortemente in questo provino e ha voluto che io lo facessi, e voglio condividere questo successo con lei. In questi giorni, molti mi chiedono com’è il rapporto con gli americani, e ci tengo a ribadire un fatto: le ultime vicissitudini, la crisi vista all’italiana, hanno fatto danni non solo economici ma anche psicologici, perché spesso mi ritrovo a parlare con i miei colleghi e a sentire stupore per il fatto che sto lavorando con gli americani. Beh, durante il primo giorno di lavoro sul set di Hannibal, il direttore della fotografia è venuto da me e mi ha detto: io ho studiato con gli italiani, come un punto d’onore. Penso che bisogna riprendere in mano la nostra capacità, perché col nostro cinema abbiamo fatto scuola e mi sento di dire che questa esperienza con loro mi ha fatto sentire italiano nel senso migliore del termine, ovvero appartenente a un popolo dotato di capacità di confrontarsi con tutti dando il proprio punto di vista ed essendo all’altezza della situazione. Mi sono reso conto, rientrando in Italia, di come ci sia una sorta di timore psicologico da parte di tanti, e credo sia una malattia collettiva da cui bisogna proteggersi, perché certi politici ci stanno rubando la fantasia e l’identità. Siamo italiani, non dimentichiamocelo mai. Siamo un paese meraviglioso che produce genialità, visione, e bisogna rompere questa rete di sfiducia basata sul “tanto le cose andranno sempre così, tanto ruberanno sempre”. Quest’incapacità di credere nel destino e nella possibilità di cambiare le cose è il più grande danno che abbiamo ricevuto dalla crisi. Spero che la situazione cambi, a partire da noi.

Da questo punto di vista, come vedi la spinta ottimista di Renzi?

F: Preferisco non rispondere in maniera diretta a queste domande, perché sono un artista e sono dell’idea che non sia il caso di fare commenti precisi. In questo momento, mi colpisce la serietà e quando qualcuno ha a cuore la causa comune. Il ruolo della politica dovrebbe essere quello di occuparsi del bene della comunità. Quando sento questa passione, provo fiducia istintiva.