La notizia giunta due giorni fa ha più il sapore della conferma: The Winds of Winter, sesto libro della saga di A Song of Ice and Fire, non uscirà nel 2015. Parola dell’editore statunitense, che dà forma concreta ai dubbi avanzati da quei lettori che, in un momento in cui Game of Thrones si appresta a compiere il tanto temuto, da alcuni, sorpasso rispetto al materiale scritto, dal 2011 attendono il prosieguo della saga, e magari maggiori indizi sulle prospettive di una conclusione. George R. R. Martin da parte sua nel tempo ha allontanato lo spauracchio della serie tv, si è confrontato con gli autori, ha rivelato i suoi piani e, forse sollecitato dall’alto, è tornato sui suoi passi. In ogni caso buona parte di questa lunga vicenda la trovate riassunta in questo articolo di un anno fa che faceva il “punto sui romanzi e sull’adattamento”.

Detto questo, facciamo i conti con ciò che abbiamo, e poniamoci alcune domande. In fondo mettere sotto pressione qualcuno e far fretta è il modo migliore per ottenere in cambio un lavoro scadente, in fondo stiamo aspettando una nuova parte in una storia che nasce dall’ingegno umano, in fondo questa saga fantasy ha un valore suo indipendente, un rapporto particolare con il suo creatore dal quale noi, miseri lettori, siamo esclusi e semplici destinatari passivi. O no? Ragioniamoci un po’ su, a partire da un parere fornito qualche anno fa da Neil Gaiman sul tema, guardando al valore complessivo dei romanzi, e tirando in ballo i famosi “dieci diritti del lettore” elencati da Daniel Pennac nel suo saggio “Come un romanzo”.

George R.R. Martin is not your bitch

Con queste parole Neil Gaiman nel lontano 2009 rispondeva ad un impaziente fan di A Song of Ice and Fire che, parecchio frustrato per il ritardi nella pubblicazione del quinto romanzo della saga e per la mancanza di comunicazione da parte dello scrittore, si rivolgeva all’autore di American Gods chiedendo il suo parere sulla questione della gestione dei tempi. Il fan poneva, forse inconsapevolmente, una questione interessante, e lo faceva in un momento nel quale i social non erano sviluppati e onnipresenti come oggi, in cui c’era maggiore distanza tra fornitore e destinatario di un servizio, ma nel quale già si intravedeva un condizionamento reciproco tra questi due ruoli. Si chiedeva infatti: “Con i blog e twitter e tutte le altre forme di social media, ritieni che il pubblico abbia un input troppo grande nell’esaminare le azioni di un artista? Se tu avessi annunciato un nuovo romanzo due anni fa e ancora oggi dovessi consegnarlo, non credi che evitare l’argomento sul tuo blog porterebbe i lettori a ritenerti uno “sfaticato”?”.

Erano domande interessanti, alle quali Gaiman rispose, prima di argomentare meglio, con un secco e deciso “No”. Ma ancora più interessanti erano le seguenti questioni poste: “Bloggare il tuo lavoro e la tua vita conduce ad una maggiore responsabilità nel rispettare i tuoi impegni? Quando si scrive una serie di libri, come Martin sta facendo con il suo “A Song of Ice and Fire”, quale responsabilità ha nel finire la storia?”. La lunga e dettagliata risposta di Gaiman, della quale la frase iniziale è solo un estratto, confutava in pieno le domande del fan, difendeva l’operato non tanto di George Martin, che in quel momento era, al di là del suo essere un collega autore fantasy, solo un esempio, ma di chiunque sia sottoposto alla creazione di un’opera “artistica”.

People are not machines. Writers and artists aren’t machines

Neil Gaiman, pur essendo grato di non lavorare su alcuna serie in quel momento (Sandman era terminato da parecchi anni) non poteva far altro che schierarsi in difesa del suo collega. Lo faceva certamente con onestà intellettuale e con la competenza di chi è un nome importante tra gli addetti ai lavori, ma al tempo stesso spostava il focus dalla questione centrale: il rapporto tra autore e lettore e il nuovo ruolo di quest’ultimo. Scriveva: “Ti lamenti che George faccia altre cose piuttosto che scrivere i libri che vuoi leggere, come se con l’acquisto del primo romanzo della serie avessi stipulato un contratto con lui”. È chiaro a tutti che un contratto concreto di questo tipo non c’è, ma, se dobbiamo ragionare su un piano di garanzie più astratte, come può essere quella di lasciare all’artista i suoi spazi e i suoi tempi, allora dobbiamo assumere che un qualche tipo di vincolo tra autore e lettore esista.

Ed è un vincolo molto forte nel momento in cui si parla di una serie fantasy che naturalmente, come tutte le storie degne di essere raccontate, necessita della sua giusta conclusione e blocca in qualche modo il lettore sulla pagina bianca in attesa che questa si riempia. “Ritengo che ti sia piaciuto [il libro che hai letto] dato che vuoi sapere cosa accade in seguito”. Qua si sfocia completamente nel gusto soggettivo, e sarebbe sbagliato generalizzare un parere sulla saga che rimane solo personale. Per chi scrive, la saga di Martin è molto valida nei suoi primi tre volumi (A Game of Thrones, A Clash of Kings e A Storm of Swords), mentre il livello cala drasticamente nei seguenti due (A Feast for Crows e A Dance with Dragons). Dati, e date, alla mano, i migliori tre volumi sono stati pubblicati tra il 1996 e il 2000. Quindici anni sono trascorsi, e altri ne passeranno a quanto pare, e in questo lasso di tempo abbiamo visto solo altri due romanzi, e francamente non di livello eccelso.

Allora, mentre viene in mente la citazione tratta da Si alza il vento di Hayao Miyazaki, in cui si dice che l’arco creativo di un artista dura appena dieci anni, si può concludere che non è mai stata solo una questione di tempi e attese, quanto di ricompense e gratificazioni. Il lettore può essere egoista, può lamentarsi e parlare a sproposito (sono nati anche gruppi “di sostegno” a questo scopo, i cosiddetti GRRuMblers), ma partecipa alla forza di questo fenomeno letterario con il suo sostegno, economico e non solo. Un fenomeno che forse altrimenti non sarebbe passato dai tre libri iniziali ai sette programmati al momento e che, diciamoci la verità, probabilmente sono destinati ad aumentare. Quindi non si può che essere in disaccordo con la nota finale di Neil Gaiman, che conclude il suo discorso affermando: “George R. R. Martin is not working for you”.

Nessuno pretende i ritmi stacanovisti di Stephen King o Brandon Sanderson (guardacaso subentrato nella conclusione di un’altra storica saga fantasy, quella della Ruota del Tempo), ma, applicando un semplice filtro di buon senso, si può dire che il lettore in questo caso ha diritto a qualcosa. Qualcosa che potrebbe essere aggiunto, con molta umiltà, a quel decalogo di diritti che Daniel Pennac – che con il suo ciclo di Malaussène non è estraneo alle serie – fissava nel saggio “Come un romanzo”. Qualcosa da aggiungere agli altri come il diritto di non leggere e quello di non finire il libro, il diritto di leggere ad alta voce e quello di farlo ovunque. Qualcosa che potrebbe essere riassunto come: “Il diritto di vedere conclusa una storia”.

E comunque, ma era sottinteso, “Hodor”.

 

Fonti: jNG / EW