L’intelligenza di una serie come Le Regole del Delitto Perfetto emerge dalle piccole cose, dalle acute sottigliezze dei dialoghi, da scene come quella in cui un tracotante imprenditore (Adam Arkin) si rivolge alla propria legale (Viola Davis) dicendole di averla scelta solo in quanto donna e di colore, indicando il suo pancione da gestante con un certo malcelato disprezzo e mettendola in guardia circa il pericolo, qualora perdesse la causa, di mettere in cattiva luce tutta la “sua gente”.

Razzismo e sessismo non sono mai asse portante delle vicende narrate in Le Regole del Delitto Perfetto, a evitare ogni ricattatorio ammiccamento per conferire gravità a una trama i cui drammi, tutti umani, trasvolano qualsivoglia identità di genere o di etnia. Sono, tuttavia, finezze come queste che, accostate a certe incoerenze e pasticciate lacune di sceneggiatura, fanno emergere quelli che sono i difetti letali dello show della ABC.

Nel resto di It’s a Trap, infatti, è risco...