Tra noir e commedia, emerge la parodia, genere in effetti atipico per un canale via cavo, specialmente per la HBO. Bored to Death, nel 2009, si presenta come qualcosa di diverso. Non uno spaccato di vita, non risate a denti stretti, ma una vera e propria variazione grottesca sul genere investigativo, esagerata e assurda. Proseguito per tre stagioni da 8 episodi ciascuno, prima della cancellazione per bassi ascolti (ma si parlerebbe di un film), Bored to Death è una serie particolare, dal ritmo molto personale, che può conquistare nel lungo termine.

Il protagonista Jonathan Ames (Jason Schwartzman) è uno scrittore privo di ispirazione, che dopo essere stato lasciato dalla fidanzata decide di lanciarsi in un improbabile annuncio online, proponendosi come investigatore privato. Tutto scaturisce da una sua particolare fantasia alla Raymond Chandler, ma presto le cose di fanno decisamente concrete, con i primi casi che iniziano ad arrivare. Presto alle sue bizzarre avventure metropolitane si uniscono l’amico fumettista Ray (Zach Galifianakis) e il suo capo George (Ted Danson). Uniti in certi casi dalla marijuana, in altri dalla loro difficoltà a gestire normalmente le relazioni sociali, i tre si muovono da una disavventura all’altra.

Potrebbe essere la semplice presenza di Schwartzman a trarre in inganno, ma sembra esserci qualcosa di Wes Anderson, se non nello stile, quantomeno nella costruzione di questi personaggi disfunzionali e inadeguati, ma sotto sotto buoni. O ancora nel piacere di smontare i ruoli di potere precostituiti, considerando quanto il personaggio di Ted Danson viene presentato all’inizio come una figura-guida, quando invece rivela un mucchio di problemi irrisolti. E poi c’è anche il senso dell’assurdo nella costruzione dei rapporti amorosi, che, senza fare spoiler, giocano davvero con tutti i limiti che potrebbero venire in mente.

Nel mondo del creatore della serie Jonathan Ames – che ha dato il suo nome al protagonista – tutto è coerente e nulla è veramente mai importante. Un mondo in cui anche il series finale, per quanto non programmato come tale, può lasciare in sospeso situazioni di una certa importanza. La serie stessa si presenta come abbastanza episodica, e le piccole trame orizzontali non riescono – non vogliono – trattenerci con la promessa di sapere cosa accadrà. Il trio di protagonisti tiene molto bene sulle spalle il peso della vicenda, con un Schwatzman compassato come al solito, un Galifianakis in piena esplosione post-The Hangover (Una notte da leoni), un Danson semplicemente magnetico in ogni momento.

Il ritmo narrativo non sarà sempre al massimo. Anzi, Bored to Death è una di quelle serie che può costare fatica all’inizio, considerato anche il fatto che, come abbiamo detto, la trama non è mai il punto di forza della storia. Rimangono principalmente alcuni momenti e battute estemporanee, che possono essere ricordate anche estraniandole dal contesto: come il primo appostamento in macchina di Ray e George, che li rende amici per la vita, l’interpretazione di George di The Impossible Dream, Jonathan dal terapeuta.