In un ideale elenco delle migliori 5 serie in onda al momento Halt and Catch Fire avrebbe un posto assicurato, e probabilmente gli starebbe anche stretto. La serie della AMC ideata da Christopher Cantwell e Christopher Rogers è arrivata alla terza stagione senza perdere una briciola della brillantezza degli esordi, quando si era imposta come una rivelazione nascosta dell’anno. Gli ascolti non sono cresciuti, ma la qualità, quella sì. Spostare il nucleo dei personaggi a San Francisco non ha intaccato il valore della serie, che con costanza, coerenza, cura per la storia e i protagonisti ha rinnovato la sua passione per il racconto e il conflitto umano, ancora una volta fotografando con estrema lucidità un periodo storico non tanto lontano.

Non saranno pochi i salti temporali sperimentati nel corso delle dieci puntate della serie, che già sappiamo si concluderà il prossimo con una quarta e ultima stagione. L’ambientazione rimane quella di San Francisco dove, per strade e percorsi diversi, Gordon, Joe, Donna e Cameron si sono ritrovati, chi per sostenere il potenziale di Mutiny e accompagnarlo verso un futuro ancora ignoto, chi per trovare la prossima intuizione, il prossimo passo in avanti. I quattro protagonisti sono estremamente dettagliati e coerenti con il loro percorso passato e futuro, ma rimangono anche le fotografie di diversi approcci umani e professionali a un mondo che cambia troppo in fretta, che non concede respiro, in cui per sopravvivere occorre anticipare ogni svolta.

“How do you win?” “You don’t, you just get to keep playing”

Abbiamo queste figure emblematiche, costantemente insoddisfatte perché, come da tema classico della serie, tendono ad un obiettivo irrealizzabile, che non coincide con nulla perché, proprio come in alcuni videogiochi, non esiste vittoria ma solo un eterno giocare. Alzare il punteggio, alzare il rischio, alzare lo slancio verso il domani. C’è Joe (Lee Pace), personaggio in continuo ripensamento di sé, fragile, sognatore, egoista. Quest’anno ci viene raccontato come più malinconico, perso nelle possibilità del presente, più fragile, più umile. La vicinanza con Ryan e l’evoluzione del suo rapporto con questo ragazzo – che per certi versi ricorda una versione più giovane di lui – ha un forte impatto a livello narrativo, ma anche emotivo e simbolico nel raccontarci la caduta degli ideali e delle possibilità anche per i pionieri e per i sognatori.

C’è Gordon (Scoot McNairy), anche quest’anno apparentemente il personaggio più messo da parte dalla scrittura, forse il meno protagonista tra i quattro, ma fondamentale nel puntellare gli altri tre nel modo in cui si relazione con loro, come amico, nemico, collaboratore, marito, confidente, collega. C’è Donna (Kerry Bishé), personaggio grandioso per sfumature e costruzione, così spesso diversa, così ricca di possibilità nel suo relazionarsi con le situazioni e con le persone, eppure sempre così coerente con ciò che è. E c’è Cameron (Mackanzie Davis, l’abbiamo vista di recente in Black Mirror). Per avvertire il passaggio del tempo basterebbe dare uno sguardo all’evoluzione di questa persona, immatura per certi versi, troppo indipendente per altri, il suo rientrare entro determinati schemi per poi tradirli poco dopo. In tutto questo, evolvere, cambiare, adattarsi, gli uomini come programmi in un mondo sempre più veloce.

Si parla di sicurezza in questa stagione, di software free, di privacy in gioco, e infine anche di internet. La rete come sovrastruttura e motore dell’agire di personaggi che faticano molto a comunicare tra di loro. Halt and Catch Fire rimane una serie estremamente concreta, con le sue lavagne fitte di appunti, i suoi fogli di lavoro, le sue riunioni, i suoi dettagli e codici, ma anche capace di slanci di grande bellezza e semplicità. Una serie apparentemente semplice, ma in cui tutto, dalla cura dei personaggi ai dialoghi, dalla regia alle musiche, dalle interpretazioni alle tematiche, tende alla grandezza e la raggiunge.