Il prologo di Borealis 301, quinto episodio della prima stagione di The Blacklist: Redemption, ricorda quelli della sorella maggiore The Blacklist: un omicidio di massa di persone inermi, incredibile crudeltà xenofoba. La differenza è che qui la sequenza è solo funzionale al seguito, e il nazi omicida non sarà l’obiettivo del team né verrà mai più nominato. A causa della strage infatti la CIA contatterà la Halcyon per spiegare che già alcuni aerei civili, che trasportavano segretamente armi, sono stati abbattuti, e che le armi in questione sono poi finite nelle mani di terroristi e criminali di vario tipo. Il prossimo target è conosciuto, dunque Halcyon dovrà impedire il dirottamento e il furto, infiltrando Tom e Solomon nelle vesti di steward sul volo Borealis 301.

Ben presto l’aereo sparisce dai radar e anche Dumont perde i contatti con i colleghi; mentre Nez, rimasta anche lei alla Halcyon, si accoge di una presenza sospetta sul volo (un meccanico che dovrebbe essere altrove), vediamo le azioni dei terroristi, che cordinano un attacco con vari dispositivi e armi stampate in 3d (non rilevabili dai controlli). Intanto Nez e Dumont scoprono che il meccanico e altri passeggeri sono navy seal, guidati da Carter Cane, ex-comandante di operazioni speciali specializzato in recupero di agenti in zone di guerra: addestrati insieme e poi inviati in Medio Oriente, sono spariti dalla circolazione dopo una missione in Iraq e sono ritenuti responsabili di diverse rapine. Stavolta però non stanno rubando qualcosa, ma qualcuno, come la CIA ha modo di confermare. Si tratta di Jennifer Lin, agente sotto copertura impegnata nelle indagini su un potentissimo signore del crimine cinese. Intanto, dopo uno scontro a fuoco Solomon è costretto a gettarsi dall’aereo approfittando del paracadute di uno dei seals, mentre Tom riesce a far atterrare l’aereo e mettere in salvo i passeggeri con l’aiuto della pilota, stordita ma viva. Tornati alla base, aggiornati sull’agente rapita, come di consueto la squadra si butta al salvataggio; solo che la dispendiosa e complicata operazione di rapina si rivela un’agghiacciante azione di stalking elaborata da uno dei seals, Aldon Bradock, ex fidanzato dell’agente in incognito, e già oggetto di un’ordinanza restrittiva. La svolta è così ridicola che la risoluzione (ovviamente positiva) passa in secondo piano, e il caso particolarmente debole fa spostare decisamente l’attenzione sulle questioni di diffidenza familiare degli Hargrave.

A inizio puntata Howard convince Tom a cercare nell’ufficio di Scottie la parola chiave per decifrare un messaggio in codice che ha intercettato, e dimostrare così che la moglie non la racconta giusta. Per aggiungere incertezza al gioco delle identità, abbiamo il privilegio di vedere Scottie parlare a sua volta della misteriosa Whitehall, dal suo punto di vista una voce di bilancio segreta di cui suo marito non ha mai voluto parlarle: una descrizione uguale e contraria a quella di Howard (Scottie ne parla a Trevor, senza che si capisca bene perché si fidi di lui). Tom riesce a recuperare la busta con la parola chiave e la porta a Howard, che tira fuori un ulteriore “libro chiave” cioè un numero di un fumetto chiamato Ultrafight: la diffidenza di Tom ha la meglio quando Howard sbigottito non riesce a codificare il messaggio. Per Tom è abbastanza da spingerlo a rivelare la sua identità a Scottie, ma quando riesce a trovarsi faccia a faccia con la madre nota anche, fortuitamente, un altro numero dello stesso fumetto, dettaglio che lo precipita nuovamente nel dubbio. Il finale sembra confermare la teoria di Howard, ma per come sta andando avanti la serie, salterà certamente fuori una spiegazione alternativa a ciò che vediamo. La storyline delle reciproche accuse e diffidenze tra i due coniugi Hargrave, che dovrebbe costituire la principale trama orizzontale della stagione, è troppo spesso veicolata da colpi di fortuna e casualità ad hoc per apparire ben scritta: quando anche la missione dell’episodio è di scarso interesse e scarsa riuscita, come in questo caso, The Blacklist: Redemption mostra tutti i suoi punti deboli, che i monologhi di Solomon non bastano a nascondere.