I romanzi della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery hanno già dato vita a numerosi adattamenti cinematografici, televisivi e persino teatrali. Il nuovo progetto targato Netflix intitolato Chiamatemi Anna cerca ora di avvicinarsi alla storia con un approccio contemporaneo, addentrandosi maggiormente nel passato della protagonista e offrendo un’atmosfera meno leggera e a tratti particolarmente drammatica degli eventi che vedono protagonista la famosa ragazzina orfana dai capelli rossi che viene mandata per errore a vivere a Green Gables insieme agli anziani fratelli Marilla (Geraldine James) e Matthew Cuthbert (R.H. Thomson).
Marilla, inizialmente, dimostra ostilità ma Anna riesce a conquistarne il cuore, mentre Matthew apprezza subito il carattere solare e ottimista della bambina.
La vita non è però facile nemmeno dopo essere stata adottata: i compagni di scuola, con l’eccezione di Diana Barry (Dalila Bela), la trattano in modo sprezzante, con atteggiamenti da bulli, e persino la comunità di Avonlea considera la nuova arrivata non adatta ai loro “standard”. Anna, inoltre, cerca una via di fuga alle difficoltà della vita quotidiana utilizzando la sua incredibile immaginazione e inventiva, ma i traumi del suo passato e la durezza contro cui si scontra in più momenti lasciano il segno. Intorno a lei c’è infatti una società sospesa tra tradizione e modernità, tra chi pensa che il destino delle donne sia di diventare mogli e madri e chi invece si occupa di tematiche femministe e progressiste.
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Moira Walley-Beckett, dopo aver lavorato a Breaking Bad e aver creato Flesh and Bone, propone una versione del personaggio principale apparentemente alle prese con le conseguenze di un’infanzia che l’ha vista convivere con genitori adottivi violenti e malvagi, situazione che nelle puntate causano un ulteriore allontanamento dalle sue compagne di classe e comportamenti sopra le righe, pur avendola portata ad acquisire nozioni e insegnamenti che la aiuteranno ad affrontare momenti difficili.
L’approccio a uno dei personaggi più conosciuti da più di una generazione è sicuramente più drammatico rispetto al passato tuttavia la giovanissima attrice Amybeth McNulty riesce a sostenere i passaggi più difficili con un buon mix di innocenza e trasporto emotivo, convincendo particolarmente in alcuni momenti drammatici (come nel caso del ricongiungimento con Matthew), e nell’ottimismo e buon cuore quasi incrollabili che contraddistinguono il personaggio.
L’interpretazione della storia appare così piuttosto efficace, tuttavia i sette episodi che compongono la settima stagione vengono penalizzati da un tono fin troppo cupo e dal susseguirsi di elementi drammatici che rendono le vicissitudini con al centro Anna a momenti esagerate, soprattutto a causa della decisione di far diventare la ragazzina quasi un’eroina dalle conoscenze superiori rispetto agli adulti che le stanno intorno, che si tratti di emergenze mediche o persino incendi.
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La bellezza dei paesaggi, valorizzati da una fotografia luminosa e cromaticamente spettacolare, la regia attenta e curata e le buone interpretazioni degli interpreti principali (in particolare di Geraldine James e Corrine Koslo nel ruolo della vicina e amica di Marilla), impreziosiscono però un progetto dal livello discontinuo e dagli approcci narrativi non sempre ben curati, dando spazio a stereotipi ed estremi. La serie ha poi un altro punto a suo favore: il buon approfondimento delle figure dei Cuthbert grazie alla scelta di raccontarne anche il passato, tramite flashback e alcuni passaggi della narrazione, rendendoli così due personaggi interessanti ed emotivamente pieni di sfumature. Più discutibili le scelte compiute nell’adattare altre presenze importanti nella storia di Anna, come Gilbert la cui situazione in famiglia è stata inspiegabilmente modificata e il cui interesse per la protagonista sembra inizialmente sia semplicemente legato a questioni estetiche e solo successivamente a quelle caratteriali. L’effetto finale dei tanti cambiamenti rispetto all’intreccio originale è di una certa coesione generale che, però, penalizza l’interessante costruzione dei personaggi che aveva compiuto la Montgomery tra le pagine, offrendo più di un esempio positivo nella comunità di Avonlea.
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Sicuramente Chiamatemi Anna risulta meno gioioso rispetto a precedenti adattamenti ma riesce a inserire con una certa efficacia tematiche importanti e attuali che ben si adattano al pubblico di Netflix, composto da potenziali spettatori di ogni età e forse per la prima volta pronti ad avvicinarsi al mondo di Avonlea e di Anna e ad apprezzarne il messaggio positivo che valorizza l’intelligenza, la determinazione e la capacità di non arrendersi nemmeno di fronte agli ostacoli apparentemente più insormontabili.
I sette episodi scorrono così velocemente, lasciando al pubblico la voglia di scoprire cosa accadrà alla famiglia Cuthbert, sperando che la lunga lista di problemi e disgrazie di cui sono vittime involontariamente si interrompa e dia spazio anche a qualche momento in più di gioia e spensieratezza.

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