Che cosa accadrebbe se gli alimenti e le bevande che ogni giorno mettiamo nel nostro frigorifero potessoro animarsi, muoversi e parlare? Quali sarebbero le dinamiche all’interno di questo grande ‘condominio’ che separa nettamente i cibi dell’ultimo ripiano da quelli del primo?
…Queste sono alcune delle domande alla base di Looney Foodz!, la serie animata in claymation rigorosamente made in Italy che con umorismo e creatività intende raccontare vizi, passioni e contraddizioni della società moderna attraverso l’uso allegorico del cibo.
Creata da Paolo Gaudio e realizzata da lui e Gianluca Maruotti in collaborazione con Ex Machina, Looney Foodz! si compone di brevi e divertenti episodi sulla scia di serie come Pingu ed è al momento in cerca di un network che contribuisca a realizzare la prima stagione. Abbiamo visto il pilot, che segue le vicende di una confezione di latte in scadenza, e abbiamo parlato con Gaudio:

Puoi descriverci il tuo progetto di Looney Foodz!, come è nata l’idea di una serie animata in stop motion per bambini dai 3 ai 6 anni?
La genesi di questo progetto è decisamente curiosa: gestisco un laboratorio di stop motion presso la Rainbow Academy di Roma, nel quale da un paio d’anni organizziamo corsi e workshop relativi a questa tecnica di animazione. È un luogo molto affascinate e creativo e proprio tra quelle mura è sorto l’interrogativo se fosse ancora possibile utilizzare la stop motion – o meglio la claymation – per una serie animata per l’infazia. In fondo, prima della Computer Grafica, il pongo e la plastilina andavano forte tra i bimbi. Chi non ricorda Pingu? Tuttavia, questa particolare tecnica non si sposa con qualsiasi plot e con i feroci tempi moderni. Ci voleva qualcosa di semplice eppure di accattivante e divertente e che potesse prevedere fonti di finanziamento esterno come il product placement. Inoltre, avrebbe dovuto concedermi la possibilità di divertirmi e di lasciarmi lo spazio per esprimere la mia personale visione. Sembrava una missione impossibile, fin quando, non venne a trovarmi mia madre. Come moltissime mamme è fissata con la pulizia e quando mette piede nel mio appartamento si dedica immediatamente a ispezionarlo, manco fosse l’ufficio d’igiene. Quella volta le sue attenzioni si concentrarono sul mio frigorifero. Addirittura, lo sbrinò e pulì per un giorno intero. Cestinando il 70% del cibo che risultava essere scaduto da tempo. Inutile dirti come mi sono sentito umiliato. Questo stato d’animo mi fece riflettere molto, fino a riconoscere quanto il frigo sia indicativo della nostra quotidianità, del nostro modo di vivere e perché no, del nostro stesso essere. Da qui l’idea: una sorta di Toy Story del frigorifero. Una volta che lo sportello si chiude, gli alimenti prendono ad animarsi e a vivere bizzarre e buffe avventure.

Dalle prime immagini possiamo immaginare che la serie sarà in inglese, pensi che avrà un elemento pedagogico legato anche alle lingue oltre che al cibo?
Per una serie come questa, la scelta della lingua inglese è assolutamente obbligata. Si punta al pubblico più vasto possibile e oggi solo questa lingua garatisce l’accesso ai mercati internazionali. Tuttavia, nel pilot ho provato a bypassare questo problema, facendo esprimere gli alimenti solo attraverso esclamazioni, grugniti e risate. Un po’ come fanno i bambini molto piccoli. Ciononostante, non escludo che nello svolgersi della serie non si possa utilizzare qualche parola, al fine di aiutare i bimbi a memorizzarle più in fretta. Magari, si potrebbe sviluppare una lingua peculiare dei Looney Foodz, un po’ come quella dei Minions che mescola differenti idiomi e che fa molto ridere. Detto questo, molto dipenderà dal network che vorrà aiutarci a realizzare questo prodotto.

Quali sono le tue ispirazioni per un progetto come questo? Al di là della facile associazione looney foodz / looney tunes…
L’ispirazione più grande è quella che hai notato tu. Abbastanza evidente, d’altronde. Sono quelli i cartoni che vedevo da bambino e ogni volta che penso a un prodotto per l’infanzia, la mente va Looney Tunes e alle Merrie Melodies. In particolare il lavoro che ha fatto Chuck Jones ha influenzato tutto il mio modo di vedere l’intrattenimento e l’animazione. Quei cartoni avevano il dono di portare felicità a chiunque li osservasse. Sia esso un bimbo, un adolescento o un adulto. Inoltre, anche se può apparire strano, un’altra fonte di grande ispirazione è stata la webserie Happy Tree Friends. Al netto di tutto il gore, il sangue, gli sbudellamenti e la violenza efferata, è quello il tipo di serie animata che mi diverte e mi conquista.

Quanto di questo pilot è parto della tua mente e del tuo lavoro “manuale”? Sappiamo che stai sviluppando il progetto in collaborazione con Ex Machina, puoi parlarci di questo rappporto?
Come ogni mio progetto, almeno fino a questo punto della mia carriera, anche questo gode e soffre di una mia eccedenza totale, oserei dire. Scrivo, dirigo, produco, mi occupo dell’estetica e dei personaggi. Tuttavia, questo mestiere non si può fare da soli, per fortuna e questa volta sono arrivati in mio soccorso i fratelli Gian Luca e Corrado Rizzo di Ex Machina. Hanno sostenuto il progetto trovando le risorse necessarie e occupandosi degli Vfx. Inoltre, si stanno facendo carico di portare il pilota in giro per i mercati, dando la possibilità a questo progetto di concretizzarsi.

E puoi parlarci del lavoro con Gianluca Maruotti?
Gianluca è un artista, illustratore, animatore straordinario. Ho il piacere e la fortuna di collaborare con lui da ormai dieci anni e progetto dopo progetto ho avuto la possibilità di ammirare il suo talento e la sua umanità. È una persona indispensabile per me e per il mio lavoro – come Brian Froud per Jim Henson, fatte le dovute proporzioni, s’intende. Riesce sempre a darmi ciò che voglio anche quando le mie proposte sono folli e al limite del possibile. Abbiamo lo stesso gusto estetico e parliamo la stessa lingua in termini di fantastico e di visione estetica. Ha il dono della pazienza e la sensibilità del grandissimo animatore. Bisognerebbe clonarlo e farne altri settecento di Gianluca Maruotti. Il mondo sarebbe un posto migliore senz’altro.

Come procedi nello sviluppo del character design?
Adoro scrivere delle schede dei personaggi molto dettagliate. Quasi dei piccoli racconti nei quali fare emergere lati e aspetti che restano sottintesi. Solo in seguito procedo con il raccogliere materile visivo. Per lo più foto, in particolare di rock star o personaggi dei film anni ottanta. Una volta che ho chiaro con chi ho a che fare, mi metto a disegnare. Scarabbochi per lo più, ma ormai chi lavora con me sa decifrarli senza fatica. Tutto questo materiale lo consegno all’illustratore che finalizza il personaggio, aggiungendoci del suo, naturalmente. Per farti un esempio: le uova dei Looney Foodz li ho immaginate come una punk rock band, un po’ come i Ramones. Non sono propriamente fratelli, ma si comportano come tali. Vivono insieme nella loro confezione e da lì osservano il mondo. È questo rapporto che li tiene unite – forzatamente, s’intende – e rappresenta la loro forza, ma allo stesso tempo, la loro grande fragilità: forti tutt’insieme nella scatola, estremamente vulnerabili da soli, fuori da essa.

Qual è la più grande differenza tra il lavorare a un prodotto per l’infanzia e i tuoi progetti precedenti?
L’umorismo. Ciò che fa ridere me, non è quello che farebbe ridere un bimbo di tre anni. Questo è certo. I miei precedenti lavori si sono sempre affidati a un humor nero, sarcastico, a volte malinconico. Perfino macabro nel caso de The Black Cat, il mio adattamento in stop motion del racconto di Poe. Mentre con Lonney Foodz mi sono dovuto sforzare di essere più immediato, diretto. Non so se ci sono riuscito – tu hai visto il pilota, in fondo si tratta la precarietà dei cibi con una certa sprezzante ironia – tuttavia, credo di aver evitato il rischio maggiore, quello della superficialità. Non sono situazioni prevedibili o sciocche. Almeno lo spero…

Salvo le grandi produzioni blockbuster, l’animazione per la prima infanzia (seriale e non) sembra sempre più tralasciare la qualità, preferendo il più delle volte una CGI scarna e dozzinale. Quanto è importante secondo te il ruolo dell’animazione stop-motion in questo senso?
In realtà, non credo sia un problema di tecnica, o almeno non solo di quella. Si fanno cose in 2D, con la carta o con Adobe Flash che sono magnifiche. Sono le idee a essere in crisi in questo momento. E questo vale per tutta l’industria dell’audiovisivo, ahimé. Le risorse sono sempre meno e il sistema capitalistico è sempre più sfrenato. Si deve produrre tanto e spendere poco. Anzi, pochissimo. Non importa se il prodotto è destinato all’infanzia, o meno, sia esso per la tv, il cinema o il web. A rimetterci è sempre la qualità. Se dovessi fare questo lavoro per il denaro sarei un povero illuso. Lo faccio perché è la cosa che mi rende più felice in assoluto: mi sono sempre circondato di fantasia, disegni, fumetti, puppazzi, robot, mostri, nani, giganti, donne bellissime e prosperose ed eroi muscolosi e senza paura. E voglio continuare a farlo. Questo mi fa sopportare i limiti e le miserie delle mie giornate. Solo in un secondo momento diventa un mestire.

Quali sono i tuoi piani per la serie? Quanti episodi dovrebbe essere, e pensi che potrebbe durare più stagioni?
Inizieremo molto presto a far circolare il pilota nei mercati e nei Festival internazionali dedicati al settore. L’idea è quella di realizzare una prima stagione composta da venticinque puntate di circa cinque minuti l’una. Questo format non prevede una linea orizzontale molto rigida, dunque potrebbe andare avanti fino all’infinito… e poi oltre.

Non ci resta che augurare tanta fortuna a Paolo!

 

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