Negli anni ’90 David Lynch ha realizzato una serie per la HBO. Ora, se questo fatto, che appare sconvolgente solo a leggerlo, vi giunge del tutto nuovo, non c’è da stupirsi. Hotel Room, miniserie di tre puntate andata in onda nel 1993, non è nulla di eccezionale. Decenni dopo, con Twin Peaks che ha sconvolto del tutto le possibilità della televisione e la HBO che si è imposta come l’emittente dei capolavori per il piccolo schermo, è molto difficile tornare a quel prodotto e ricavare qualcosa di interessante. Rimane la curiosità di conoscere una piccola parentesi sconosciuta nella tv degli anni ’90 e nella carriera di Lynch.

Si tratta di tre episodi, di circa mezz’ora ciascuno, tutti ambientati nella stessa stanza dello stesso hotel, ma in epoche diverse. Il primo, intitolato Tricks, è ambientato nel 1969 e vede come protagonista Harry Dean Stanton, nell’ennesima collaborazione con il regista. L’uomo si trova con una prostituta di nome Darlene, quando l’incontro viene interrotto dal misterioso Lou: inizia un gioco di maschere e identità. Il secondo, intitolato Getting Rid of Robert, è ambientato nel 1992: Sasha confessa alle sue amiche di voler troncare la relazione con il fidanzato Robert, ma quando l’uomo arriva le cose vanno in modo diverso. In questo caso la regia è di James Signorelli. L’ultimo, ambientato nel 1936, si intitola Blackout. Danny e Diane, marito e moglie, intrattengono una lunghissima conversazione nella stanza semibuia, nel corso della quale segreti e paure verranno alla luce.

David Lynch dirige il primo e il terzo degli episodi e la qualità, soprattutto nel caso dell’ultimo, emerge. In realtà Blackout oggi risulta essere l’unico segmento che abbia ancora qualcosa da dire. L’idea di un uomo e una donna chiusi in una stanza d’albergo contiene l’eco di qualcosa che, forse, verrà ripreso molti anni dopo in Inland Empire, ma che si inserisce anche in quel flusso di personaggi intrappolati e prigionieri di stanze che ne rispecchiano le pulsioni e gli stati d’animo (Eraserhead, Velluto blu). Emerge, soprattutto in questo caso, un’impostazione teatrale ed intima, che funziona secondo una visione che incrocia la costruzione dell’ambiente e la fascinazione delle parole: “If you stare at the horizon for too long all you can see is fire. The entire line of the horizon is burning. Fire as far as the eyes can see”.

Danny e Diane (lei è Alicia Witt, già diretta da Lynch in Dune) sono due sagome nere e rosse nel buio, e tutto nella costruzione del loro rapporto, e quindi nella nostra comprensione, è affidato a ricordi lontani (forse un lutto mai superato) e immagini sconnesse create da Diane, che forse soffre di qualche disturbo mentale. Come già detto, questo è l’unico segmento su cui valga la pena spendere qualche parola. Negli altri episodi il racconto soffre una generale piattezza, di scrittura in primo luogo, di interpretazioni nel secondo caso.

Nulla viene esplicato o costruito e, salvo l’apparizione ricorrente di un fattorino e di una cameriera che non invecchiano nelle varie epoche (l’intuizione più interessante), rimane poco altro da aggiungere. Questo non è l’unico tentativo per la tv realizzato da Lynch al di fuori di Twin Peaks. Oltre al celebre aneddoto su Mulholland Dr. ideato come pilot per una serie tv mai realizzata, c’è anche On the Air, andata in onda nel 1992 sulla ABC e realizzata ancora in collaborazione con Mark Frost. Anche in quel caso il progetto ebbe poca fortuna: vennero trasmessi solo tre episodi sui sette realizzati.