In una certa scena di My So-Called Life la protagonista, che sta studiando l’omicidio di Kennedy, si trova a riflettere sulla mancanza di un momento altrettanto topico per la propria generazione. Qualcosa di epocale che ti faccia chiedere: “cosa stavi facendo mentre… ?”. È in piccole considerazioni come queste, frutto di un pensiero che evidentemente non aveva vissuto sulla propria pelle l’11 settembre, che la serie della ABC rivela tutta la propria distanza temporale da noi. Eppure My So-Called Life, più di venti anni dopo, risulta ancora idealmente vicinissima alle tematiche e linguaggi moderni. Merito soprattutto di una scrittura coraggiosa e interessante, che già all’epoca ne faceva uno dei teen drama più arguti e complessi mai trasmessi in tv.

Creata da Winnie Holtzman, la serie va in onda sulla ABC dal 1994 al 1995, con un’unica stagione da diciannove episodi. Raccoglie consenso unanime e riconoscimenti importanti, tra i quali il Golden Globe alla quasi esordiente, ma già molto promettente, Claire Danes. Tanto non basta e la serie va incontro alla cancellazione, lasciando varie sottotrame, tra cui quella centrale, aperte. Lascia in eredità un bagaglio di considerazioni e possibilità per il genere di appartenenza, che verranno riprese a piene mani da molti epigoni successivi, su tutti Freaks and Geeks, apparso appena quattro anni dopo.

Protagonista di My So-Called Life è Angela Chase (Claire Danes), teenager in piena tempesta emotiva e in costante confronto con se stessa. Frequenta un normale liceo, ha dei normali amici, tutto tende ad un concetto di normalità e familiarità. Angela cerca di trovare per se stessa una nuova identità e ciò la porta, almeno all’inizio della serie, ad allontanarsi dai suoi storici amici Brian (Devon Gummersal) e Sharon (Devon Odessa) e ad avvicinarsi a Rayanne (A.J. Langer). Fantastica soprattutto sulle prime relazioni amorose, e sul suo compagno di scuola Jordan (Jared Leto).

Qui dunque parte la carriera di Jared Leto, ma è Claire Danes a brillare. Anche fingendo di non conoscere il suo futuro come attrice, non si può che rimanere ammirati per la sua capacità di infondere passione e forza al ruolo. È lei, praticamente da esordiente, a reggere sulle spalle il peso dell’intera serie: un debutto straordinario. E su questa base quotidiana la serie della ABC innesta una serie di considerazioni, spesso scoperte e marcate, sul mondo degli adolescenti, su problematiche sensibili, su temi raramente toccati prima da prodotti di questa fascia. O che comunque parlassero il linguaggio degli adolescenti.

Ne viene fuori una sorta di proto-Thirteen Reasons Why, meno trendy e più riflessivo, meno accattivante come confezione e più episodico. Anche qui ci sono delle tesi da esporre, delle tematiche da affrontare, ma piuttosto che essere la colonna portante dell’opera queste sono il suo corollario, qualcosa di incidentale che accade perché può accadere e quindi è giusto parlarne. Eppure, nel suo essere la prima incarnazione di un certo discorso teen drama con le spalle larghe e la capacità di mantenere le proprie ambizioni, My So-Called Life mantiene una freschezza inalterata dopo gli anni.

Uno dei meriti è senza dubbio quello di una scrittura intelligente, ma non indulgente nei confronti della sua protagonista. Angela rimane il perno dell’opera, e saranno i suoi monologhi in voiceover a dare una voce alle sue incertezze. Rimane una ragazza fallibile e immatura, presuntuosa ed egocentrica come molti adolescenti, ma non odiosa perché umana e ansiosa di migliorarsi e riflettere su se stessa. In più di un momento, è chiaro, la sua voce diventa la voce di molti, un mezzo per riconoscersi nella sconfitta, nel dubbio e nel senso di inadeguatezza. Si tratta quasi sempre di considerazioni generali e impersonali, e non è un caso.

My So-Called Life mantiene dunque un certo equilibrio tra le vicende romantiche che ci aspetteremmo di trovare (amici che vogliono essere qualcosa di più, rapporti di fiducia traditi, tradimenti) e temi più importanti. Si parla di possesso di armi, di omosessualità, di consumo di armi e droga, di abusi e di senzatetto. Abbiamo a volte la sensazione di puntate a tesi che vogliono affrontare quel determinato argomento, ma il tono non è mai paternalistico e lo sguardo si mantiene sempre all’altezza dei giovani, senza voler imporre una morale o un insegnamento. Peraltro dallo spazio ampio che viene riservato agli adulti (quindi capire le problematiche dei grandi da una prospettiva adolescenziale) vediamo che questi non sono tanto migliori dei giovani.

Lontano dal cinismo e dal politicamente scorretto tipicamente british (Skins, Misfits), ma più graffiante rispetto a molti prodotti americani, My So-Called Life rimane un teen drama di grandissimo rilievo, un esponente importante di quella tv che negli anni ’90 andava evolvendosi come potenzialità e linguaggio.